IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                        Lecce - Sezione Terza 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  386  del  2018,  proposto  da  Candita   Tommaso,
rappresentato e difeso dall'avvocato Euprepio  Curto,  con  domicilio
digitale come da P.E.C. da registri di giustizia; 
    contro Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli
per la  Puglia,  la  Basilicata  e  il  Molise  -  Sezione  operativa
territoriale di Brindisi, in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello
Stato, domiciliata ex lege in Lecce, Piazza S. Oronzo; 
    per l'annullamento: 
        del provvedimento n. 24  del  7  febbraio  2018  dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia,  la
Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Agenzia  delle
dogane e dei monopoli -  Ufficio  dei  monopoli  per  la  Puglia,  la
Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  3  luglio  2018  la
dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per  le  parti  l'avvocato  E.
Curto e l'Avvocato dello Stato G. Marzo. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    1. - Con l'atto introduttivo del presente  giudizio,  ritualmente
notificato il 28 marzo 2018  e  depositato  il  12  aprile  2018,  il
ricorrente - gia' titolare di patentino per la vendita di  generi  di
monopolio, nell'esercizio bar ubicato in Francavilla Fontana alla via
Oria, n. 99 - ha impugnato, domandandone l'annullamento: 
        1) il provvedimento n.  24  del  7  febbraio  2018,  con  cui
l'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli  per  la
Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di
Brindisi, in riscontro  all'istanza  del  1°  dicembre  2017  per  il
rinnovo biennale del citato patentino: 
          «Atteso che il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2028/15
ha motivato: "Il rinnovo non  e'  altro,  in  relazione  alla  durata
biennale  del  titolo,  che  un  rinnovato  rilascio,   onde   devono
logicamente ritenersi  necessari  a  tal  fini  anche  i  presupposti
normativi richiesti per quest'ultimo alla data in cui il  rinnovo  e'
richiesto"; 
    Visto   l'ormai   consolidato   orientamento   della    giustizia
amministrativa e da  ultimo  il  Tribunale  amministrativo  regionale
Lecce, con sentenza n. 2466/15, secondo cui il rinnovo del  patentino
non e' ancorato al  solo  profilo  della  verifica  del  reddito,  ma
costituisce un nuovo momento di valutazione di tutti i  requisiti  di
legittimita' ed opportunita' del punto vendita; 
    Vista la documentazione allegata all'istanza e  valutati  i  dati
riportati  nella  dichiarazione  sostitutiva  di  atto  notorio  resa
dall'istante che dichiarava, tra  l'altro,  "di  non  avere  pendenze
fiscali e/o morosita' verso l'Erario o verso il Concessionario  della
riscossione definitivamente accertate o risultanti  da  sentenze  non
impugnabili"; 
    Vista la nota P.E.C. prot. n. 88059 del 18 dicembre 2017  con  la
quale si chiedeva all'Agenzia delle entrate - Riscossione, se il sig.
Candita Tommaso "..... avesse pendenze fiscali  e/o  morosita'  verso
l'Erario o verso il Concessionario della Riscossione  definitivamente
accertate  o  risultanti  da  sentenze  non   impugnabili...."   come
dichiarato dallo  stesso  ai  sensi  dell'art.  11  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 403; 
    Vista la nota P.E.C. pervenuta da Agenzia entrate  -  Riscossione
in data 20 dicembre 2017, assunta al prot. n. 88865», con la quale la
stessa comunicava l'esistenza, a carico  del  ricorrente,  di  talune
cartelle di pagamento; 
    «Viste le osservazioni pervenute in data 15 gennaio 2018» (da cui
risulta, per talune cartelle l'avvenuta presentazione  della  domanda
di definizione agevolata,  per  altra  cartella  la  proposizione  di
ricorso, e per altre  ancora  l'intenzione  di  presentare  -  «sara'
presentata» - domanda di definizione agevolata) e  «....  Considerato
che la succitata documentazione non ha fornito elementi  nuovi,  tali
da consentire una rivalutazione della decisione presa; 
    Considerato quanto emerso dal controllo della veridicita'  presso
l'Agente della riscossione in merito a  quanto  dichiarato  nell'atto
notorio  presentato  ovvero  la  presenza  di   pendenze   verso   il
Concessionario; 
    Considerato che nell'atto notorio la presenza di tali  situazioni
debitorie non regolarizzate non erano state  segnalate  al  punto  7)
dello stesso; 
    Considerato, pertanto, che  il  Titolare  dell'autorizzazione  e'
incorso in quanto previsto dall'art. 76 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 in merito ad una dichiarazione risultata
non veritiera"; 
    ha determinato la reiezione dell'istanza di rinnovo del patentino
(di cui in premessa) e la contestuale soppressione del  patentino  n.
200094/BR di che trattasi; 
        2) ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. 
    A sostegno dell'impugnazione interposta ha dedotto: 
        1) difetto e  carenza  di  motivazione,  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 445/2000; 
        2) eccesso di potere sotto il profilo  del  travisamento  dei
fatti e illogicita' manifesta; 
        3)   violazione   del   principio   di    ragionevolezza    e
proporzionalita'. 
    Si e' costituita in  giudizio,  per  il  tramite  dell'Avvocatura
distrettuale erariale,  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli  -
Ufficio dei monopoli per la Puglia,  la  Basilicata  e  il  Molise  -
Sezione operativa territoriale di Brindisi, contestando  in  toto  le
avverse pretese e chiedendo la reiezione del gravame. 
    Con «memoria conclusionale» depositata agli atti del giudizio  in
data 29  maggio  2018,  parte  ricorrente  ha  prospettato  dubbi  di
costituzionalita' in ordine all'art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000, chiedendo che l'adito Tribunale voglia,
«in qualsiasi caso, in relazione alla natura e agli effetti dell'art.
76 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000,  e,  piu'
complessivamente,   all'intera   normativa   applicata,    dichiarare
esistenti profili di dubbia costituzionalita'». 
    Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, su richiesta  di  parte,
la causa e' stata introitata per la decisione. 
    2. - Rileva, innanzitutto, il Collegio  che  l'impugnato  diniego
risulta motivato  dalla  pubblica  amministrazione  resistente  sulla
scorta dell'omessa dichiarazione, da parte  dell'istante,  di  taluni
debiti verso l'Erario (e cioe', la preesistenza di talune cartelle di
pagamento, come risultante dalla nota P.E.C.  pervenuta  dall'Agenzia
delle entrate - Riscossione in data  20  dicembre  2017  e  viste  le
osservazioni ricevute in data 15 gennaio 2018, da  cui  risulta,  per
talune cartelle l'avvenuta presentazione della domanda di definizione
agevolata, per altra cartella la proposizione di ricorso, e per altre
ancora l'intenzione di presentare domanda di  definizione  agevolata,
omettendo qualsiasi valutazione sull'entita' - minima o  meno  -  dei
relativi importi e, quindi, in  maniera  del  tutto  automatica),  ai
sensi, sostanzialmente (a ben vedere), dell'art. 75 del  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445. 
    E' opportuno rammentare che l'art. 75 («Decadenza dai  benefici»)
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445
(«Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di documentazione amministrativa») dispone che: 
        «1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 76, qualora  dal
controllo di cui all'art. 71 emerga la non veridicita' del  contenuto
della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente
conseguenti al provvedimento emanato sulla base  della  dichiarazione
non veritiera». 
    La granitica giurisprudenza formatasi in «subiecta  materia»  (ex
plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933)
ha osservato che il su riportato art. 75 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 «si inserisce in un contesto in cui alla
dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti e'
attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del  dichiarante  di
affermare il vero. 
    Ne consegue che la dichiarazione "non veritiera" al  di  la'  dei
profili penali, ove ricorrano  i  presupposti  del  reato  di  falso,
nell'ambito della disciplina dettata dalla legge  n.  445  del  2000,
preclude  al  dichiarante  il  raggiungimento  dello  scopo  cui  era
indirizzata la dichiarazione o comporta  la  decadenza  dall'utilitas
conseguita per effetto del mendacio». 
    Pertanto, «In tale contesto normativo, in cui  la  "dichiarazione
falsa o non veritiera" opera come fatto, perde  rilevanza  l'elemento
soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante»  (Consiglio  di
Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), «poiche', se cosi' fosse,
verrebbe meno la ratio della disciplina che e' volta  a  semplificare
l'azione   amministrativa,   facendo   leva    sul    principio    di
autoresponsabilita' del dichiarante»  (Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta, 27 aprile 2012, n. 2447): sicche'  ogni  eventuale  ulteriore
circostanza, «senz'altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa
alla  configurazione  del  falso  ideologico,  attesa   la   mancanza
dell'elemento soggettivo,  ovvero  della  volonta'  cosciente  e  non
coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire  contro
il dovere  giuridico  di  dichiarare  il  vero,  non  assume  rilievo
nell'ambito della legge n. 445 del 2000, in cui  il  mendacio  rileva
quale inidoneita' della dichiarazione  allo  scopo  cui  e'  diretto»
(Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013). 
    Ai sensi della normativa generale di cui all'art. 75 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 445  del  2000,  quindi,  «la  non
veridicita'  di  quanto  autodichiarato  rileva  sotto   un   profilo
oggettivo  e  conduce  alla  decadenza  dei  benefici  ottenuti   con
l'autodichiarazione non veritiera»; cosi' la  sentenza  13  settembre
2016, n. 9699) (T.A.R. Lazio, Roma,  Sezione  Terza  ter,  24  maggio
2017, n.  6207),  «senza  che  tale  disposizione  lasci  margine  di
discrezionalita' alle Amministrazioni (cfr. ad  es.  CdS  1172\2017)»
(T.A.R. Liguria, Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, n. 534). 
    In definitiva, per effetto  della  suddetta  esegesi  consolidata
(tale da assurgere al rango di «diritto vivente», sicche' neppure  e'
possibile  per  il  Tribunale  operare  una   c.d.   «interpretazione
costituzionalmente conforme»): 
        l'applicazione dell'art. 75 del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 445/2000 comporta l'automatica decadenza dal  beneficio
eventualmente  gia'  conseguito,  non  residuando,  nell'applicazione
della predetta norma, alcun margine di discrezionalita'  alle  PP.AA.
che, in sede di controllo (d'ufficio) ex art. 71 del  medesimo  Testo
Unico,  si  avvedano  della   (oggettiva)   non   veridicita'   delle
autodichiarazioni,  posto  che  tale  norma  prescinde,  per  la  sua
applicazione,   dalla   condizione   soggettiva   del    dichiarante,
attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della  non  veridicita',
rispetto  al  quale  risulta,  peraltro,  del  tutto  irrilevante  il
complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo; 
        parimenti, tale disposizione, nel  contemplare  la  decadenza
dai benefici conseguenti al provvedimento emanato  sulla  base  delle
dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e a fortiori, come
nel caso di specie) anche l'emanazione del provvedimento (ampliativo)
di accoglimento dell'istanza tendente ad ottenere  i  benefici  dalla
pubblica amministrazione. 
    3. - Tuttavia,  la  predetta  norma  (art.  75  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000),  intesa  alla   stregua
dell'illustrato «diritto  vivente»,  nel  suo  meccanico  automatismo
legale (del tutto decontestualizzato dal caso specifico) e nella  sua
assoluta rigidita' applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al
Collegio   incostituzionale,   per   violazione   dei   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e uguaglianza  sanciti  dall'art.  3
della Costituzione. 
    4. -  Ed  invero,  «il  giudizio  di  ragionevolezza,  lungi  dal
comportare  il  ricorso  a  criteri   di   valutazione   assoluti   e
astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni  relative
alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti.
Sicche', ... l'impossibilita' di fissare in astratto un  punto  oltre
il quale  scelte  di  ordine  quantitativo  divengono  manifestamente
arbitrarie e, come tali,  costituzionalmente  illegittime,  non  puo'
essere validamente assunta come elemento connotativo di  un  giudizio
di merito, essendo un tratto che si riscontra ... anche  nei  giudizi
di ragionevolezza. 
    Del resto, ..., le censure di merito non  comportano  valutazioni
strutturalmente diverse, sotto il profilo  logico,  dal  procedimento
argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal  sindacato
di legittimita', differenziandosene, piuttosto, per il fatto  che  in
quest'ultimo le regole o gli interessi  che  debbono  essere  assunti
come parametro del giudizio sono  formalmente  sanciti  in  norme  di
legge o della Costituzione» (Corte costituzionale, 22 dicembre  1988,
n. 1130). 
    In conclusione: 
        per un verso, il giudizio di ragionevolezza  della  norma  di
legge  deve  essere   necessariamente   ancorato   al   criterio   di
proporzionalita', rappresentando  quest'ultimo  «diretta  espressione
del generale canone di  ragionevolezza  (ex  art.  3  Cost.)»  (Corte
costituzionale, 1° giugno 1995, n. 220); 
        per altro verso, la ragionevolezza va intesa  come  forma  di
razionalita' pratica (tenuto conto,  appunto,  «delle  circostanze  e
delle limitazioni concretamente sussistenti» - Corte  costituzionale,
cit., n. 1130/1988), non  riducibili  alla  mera  (e  sola)  astratta
razionalita' sillogistico - deduttiva e  logico  -  formale,  laddove
(invece)  la  ragione  (pratica  e  concreta)  deve   essere   aperta
all'impatto che su di essa esplica il caso,  il  fatto,  il  dato  di
realta'  (che  diventa  esperienza  giuridica),  solo  cosi'  potendo
(doverosamente)  valutarsi  l'adeguatezza  del  mezzo  al  fine,   la
ragionevolezza «intrinseca», in uno agli (eventuali) esiti ed effetti
sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare  da
una regola generale apparentemente ed astrattamente logica. 
    In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal  limitarsi
alla  (sola)  valutazione  della  singola  situazione  oggetto  della
specifica controversia  da  cui  sorge  il  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale, si appalesa idoneo  (traendo  spunto  da
quest'ultima) a vagliare gli effetti della legge sull'intera  realta'
sociale che la legge  medesima  e'  chiamata  a  regolare,  anche  in
funzione dell'«"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori  di
giustizia e  di  equita'"  ...  ed  a  criteri  di  coerenza  logica,
teleologica .... , che costituisce  un  presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della  stessa»
(sentenza n. 87 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza 10  giugno
2014, n. 162). 
    E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall'adozione,
per dir cosi', «neutra» del  provvedimento  con  i  suoi  «costi»,  e
valutando l'eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e
interessi  di   rango   costituzionale   contestualmente   in   gioco
(bilanciamento). 
    5.   -   Orbene,   l'illustrata   fattispecie   di   «automatismo
legislativo» di cui all'art. 75  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 445/2000, intesa alla stregua  del  «diritto  vivente»,
non sfugge, ad  avviso  meditato  del  Collegio,  a  forti  dubbi  di
incostituzionalita' per violazione dei principi di  proporzionalita',
ragionevolezza e uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    5.1 - Ed invero, le  conseguenze  decadenziali  (definitive)  dal
beneficio (peraltro,  latu  sensu  sanzionatorie),  legate  alla  non
veridicita'   obiettiva   della   dichiarazione,   e,   a   fortiori,
l'impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato
art. 75 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  445/2000,
appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali,  contrastando
con il principio di proporzione, che e' alla base della  razionalita'
che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex
art. 3 della Costituzione. 
    E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via  dirimente)  il
meccanico automatismo legale (del tutto «slegato»  dalla  fattispecie
concreta)  e  l'assoluta  rigidita'  applicativa   della   norma   in
questione, che (da un lato) impone tout court (senza alcun distinguo,
ne' gradazione)  la  decadenza  dal  beneficio  (o  l'impedimento  al
conseguimento dello stesso), a  prescindere  dall'effettiva  gravita'
del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la  dichiarazione
non veritiera  riveste  un'incidenza  del  tutto  marginale  rispetto
all'interesse pubblico perseguito dalla pubblica amministrazione, sia
per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto  contrasto
con tale interesse, riservando, quindi,  il  medesimo  trattamento  a
situazioni  di  oggettiva  diversa  gravita'),  e  (dall'altro)   non
consente di escludere nemmeno le ipotesi  di  non  veridicita'  delle
autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta,  con  ogni
possibile (e finanche prevedibile) abnormita'  e  sproporzione  delle
relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. 
    5.2  -  Sotto  altro  profilo,  inoltre,   l'assoluta   rigidita'
applicativa dell'art. 75 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 445/2000 appare  eccessiva,  in  quanto  non  consente  (parimenti
irragionevolmente   e   inadeguatamente)   di   valutare   l'elemento
soggettivo (dolo - la c.d. coscienza e volonta' di immutare il vero -
ovvero colpa, grave o meno - nell'ipotesi  di  fatto  dovuto  a  mera
leggerezza   o   negligenza    dell'agente)    della    dichiarazione
(oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e  contestuale)  sede
del  procedimento  amministrativo  (o  anche,  laddove  la   pubblica
amministrazione  lo  ritenga,  nell'ambito  del  pertinente  giudizio
penale). 
    5.3  -   Ne'   puo'   ritenersi   che   i   suddetti   dubbi   di
costituzionalita' possano essere superati facendo  leva  sulla  ratio
sottesa alla disposizione di che trattasi,  rinvenibile,  secondo  il
diritto «vivente» (cfr., ex plurimis,  Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quinta,   cit.,   n.   2447/2012),   nel   principio   generale    di
semplificazione  amministrativa  (cui  si  accompagna  l'affermazione
dell'autoresponsabilita' - «oggettiva» - del dichiarante). 
    E' ben vero, infatti, che l'art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma  generale
di semplificazione amministrativa. 
    Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma,  se,  da  un
lato, e' sicuramente volta a  rendere  piu'  efficiente  ed  efficace
l'azione dell'Amministrazione  pubblica  (buon  andamento,  ai  sensi
dell'art.  97  della  Costituzione),   dall'altro   e'   (altrettanto
inequivocabilmente) finalizzata a garantire  i  diritti  dei  singoli
costituzionalmente  tutelati  e  di  volta  in  volta  coinvolti  nel
procedimento amministrativo attivato (e nell'ambito  del  quale  sono
state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad  esempio,  al
diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art.  32),  al
diritto al lavoro  (articoli  4  e  35),  al  diritto  all'assistenza
sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica  privata  (art.
41, come nel caso di specie). 
    Sicche', anche nella  prospettiva  del  necessario  bilanciamento
degli  interessi  costituzionali  coinvolti  (nonche'  della  massima
espansione possibile delle relative tutele),  il  rigido  automatismo
applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi  e/o
decadenziali) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso  equilibrio
fra le diverse esigenze in gioco,  e  persino  tale  da  pregiudicare
definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo  alla
cui migliore e piu' rapida realizzazione la norma di  semplificazione
de qua e', in definitiva, finalizzata. 
    E  tanto  vieppiu'  allorche'  si   consideri   che   l'art.   40
(«Certificati»)  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000, n. 445 («Testo unico delle disposizioni legislative  e
regolamentari in materia  di  documentazione  amministrativa»),  come
modificato dall'art. 15, comma 1, lettera a), legge 12 novembre 2011,
n. 183, ha disposto  che  «01.  Le  certificazioni  rilasciate  dalla
pubblica amministrazione in ordine  a  stati,  qualita'  personali  e
fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra  privati.  Nei
rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di
pubblici servizi i certificati e gli atti di notorieta'  sono  sempre
sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e  47»  e  che
«02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati e' apposta,
a pena di nullita', la dicitura: "Il presente  certificato  non  puo'
essere prodotto agli  organi  della  pubblica  amministrazione  o  ai
privati  gestori  di  pubblici  servizi"»:  sicche',  in  definitiva,
essendo il privato obbligato, e non  piu'  (meramente)  facultato,  a
presentare alle PP.AA. le «dichiarazioni di cui agli  articoli  46  e
47», la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per  un
verso,  nella  (sicura)  diminuzione  degli  adempimenti   a   carico
dell'amministrazione pubblica  (a  fronte  dei  controlli  d'ufficio,
«anche a campione», ai sensi dell'art. 71 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000), e,  per  altro  verso,  nell'eccessiva
(considerate  le  conseguenze  automatiche  derivanti  dall'eventuale
dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 445/2000) autoresponsabilita'  («oggettiva»)  del
privato medesimo. 
    6. - Pertanto, rispetto ad  una  disposizione  -  l'art.  75  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.   445/2000   -,   nel
significato  in  cui  essa  «vive»  nella   (costante)   applicazione
giudiziale, il Collegio  non  puo'  che  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  tenuto  conto,  per   quanto   innanzi
esposto, che la stessa appare non superabile  in  via  interpretativa
(in ragione, appunto, del «diritto  vivente»)  e  non  manifestamente
infondata. 
    7.  -  Inoltre,  l'intervento  del  Giudice  delle  leggi  appare
assolutamente necessario nella presente controversia,  non  potendosi
prescindere  dalla   definizione   (necessariamente   e   logicamente
pregiudiziale) di tale questione ai fini della decisione del presente
giudizio (in cui viene  all'esame,  per  l'appunto,  una  fattispecie
nella quale  la  pubblica  amministrazione  ha  fatto  pedissequa  ed
automatica applicazione della norma in questione,  a  prescindere  da
qualsivoglia valutazione in ordine all'entita' - minima o meno -  dei
debiti erariali emersi nel caso concreto), in quanto, nell'ipotesi in
cui il citato art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
445/2000 dovesse essere dichiarato  incostituzionale,  verrebbe  meno
l'unico presupposto normativo posto, sostanzialmente (a ben  vedere),
a fondamento del gravato diniego, nel mentre, in caso  contrario,  il
gravame sarebbe infondato alla stregua delle censure formulate  dalla
parte ricorrente. 
    8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  i   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e  uguaglianza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, dell'art. 75 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 dicembre 2000,  n.  445,  sia  rilevante  (sussistendo,
appunto, il nesso di assoluta pregiudizialita' tra la soluzione della
prospettata questione di legittimita' costituzionale e  la  decisione
del presente giudizio)  e  non  manifestamente  infondata,  e  debba,
conseguentemente,    essere    rimessa    all'esame    della    Corte
costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso  fino
alla decisione della Consulta.